La Mentalità Mafiosa

“La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte proprio perché meno appesantite dai condizionamenti e dai ragionamenti utilitaristici che fanno accettare la convivenza col male, le più adatte cioè queste giovani generazioni, a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.”

Paolo Borsellino, 20 Giugno 1992

 

Dall’ultimo rapporto dell’associazione Confesercenti si stima che la mafia sia il più grande “agente economico” del nostro paese, in grado di muovere un fatturato che si aggira intorno ai 140 miliardi di Euro. Il fenomeno mafioso ha certamente delle rilevanti e complesse radici storiche e sociali che in questo articolo mi limiterò solamente ad accennare, privilegiando l’attenzione sulle dinamiche psicosociali.

 La Criminalità Organizzata

Nella storia della Sicilia la famiglia ha avuto il compito di farsi carico dei bisogni primari, diventando un nido protettivo e rassicurante rispetto a un sociale mutevole, costantemente sentito come pericoloso, sottoposto a continue dominazioni. Questo clima ha favorito la nascita di una sub-cultura criminale probabilmente già dal periodo risorgimentale. La mafia ha operato una trasformazione ed esacerbazione dei modelli culturali familiari, da quello protettivo a quello punitivo, identificabili rispettivamente nel codice socio-culturale materno e in quello paterno. Difatti la “famiglia” mafiosa può dare sia protezione che punizione, e ciò dipende da quanto le persone sottostanno alle sue “regole”.

In una organizzazione di questo tipo la struttura psicologica è dogmatica privilegiando l’appartenenza al gruppo e il rifiuto dell’individualità e dell’altro da sé. L’altro non ha valore nella sua soggettività ma acquisisce senso in base agli scopi criminali dell’organizzazione.

L’identità del mafioso acquisisce senso solo come uomo d’onore della famiglia mafiosa, il mafioso difatti pensa e prova emozioni per come gli è stato insegnato dall’organizzazione. C’è quindi una quasi totale sovrapposizione dell’identità individuale della persona mafiosa con l’identità dell’organizzazione. Questa situazione impedisce lo sviluppo psicologico individuale e l’autonomia di pensiero.

La Cultura Mafiosa

La cultura mafiosa non riguarda solamente la mentalità della criminalità organizzata ma ha un’accezione più ampia poiché con essa s’intende la negazione delle regole sociali a favore delle regole private e familistiche. Questo “pensare mafioso” si esprime attraverso dei comportamenti che distorcono il rapporto pubblico-privato: le istituzioni pubbliche vengono pensate e vissute come se ci si rapportasse a una grande famiglia che và controllata. I rapporti sociali vengono principalmente instaurati e perpetuati per creare una dipendenza psicologica tra sé e l’altro. Una situazione tipica è ad esempio quando si fà un favore a una persona, non per il proprio piacere personale, ma poichè questa ricopre un ruolo rilevante e “utile” a livello istituzionale e/o organizzativo.

Ovviamente la cultura mafiosa favorisce lo sviluppo della criminalità organizzata poiché dà priorità all’instaurazione dei rapporti personali relegando a un ruolo secondario il rispetto delle regole sociali. In una cultura di questo tipo lo sviluppo delle autonomie di pensiero, che renda possibile guardare gli altri con le loro soggettività e i loro specifici bisogni e desideri, può favorire una maggiore valorizzazione delle regole di convivenza sociale.

(Luglio 2012)